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Don Borea. La vita, la testimonianza, il sacrificio

sperongiaLucia

A Sperongia di Morfasso nei giorni scorsi si è ricordato don Giuseppe Borea, parroco ad Obolo di Gropparello, ucciso da un plotone di esecuzione della Repubblica sociale il 9 febbraio 1945 a soli 34 anni.
È intervenuta Lucia Romiti, autrice di “Giuseppe Borea - martire della Resistenza” (Ed. Il Nuovo Giornale) e curatrice di un nuovo lavoro di ricerca più approfondito e completo sulla figura del sacerdote piacentino, medaglia d’argento al valor militare.
La giornata “Don Borea: uomo di fede, martire per la libertà” è stata organizzata dal Museo della Resistenza Piacentina in collaborazione con la parrocchia di Sperongia e il Comune di Morfasso.

L’evento si inserisce in un calendario di iniziative che, dal 2017, si pongono l’obiettivo di accrescere la conoscenza della figura di don Giuseppe Borea, della sua vita e del suo operato. Tali iniziative sono coordinate da un gruppo spontaneo di persone afferenti alla società civile, religiosa e associazionistica, che hanno aderito e sostengono il desiderio della famiglia nell’intento di approfondire la conoscenza di don Giuseppe Borea.

Il sacerdote, nato a Piacenza il 4 luglio 1910, era un uomo di azione, abituato ad essere sempre in movimento senza risparmiare energie.
Diventato cappellano della Divisione partigiana Valdarda guidata dal comandante Giuseppe Prati, dette il suo sostegno morale e spirituale ai giovani ribelli.
Assistette i condannati a morte di entrambe le parti in lotta, raccogliendo spesso le ultime volontà e amministrando gli ultimi sacramenti.
Durante il rastrellamento del luglio ‘44, in cui le truppe dei mongoli batterono la montagna per scovare i partigiani lasciandosi andare a violenze sui civili, il giovane sacerdote piacentino andò personalmente a raccogliere i cadaveri dei ragazzi uccisi, sfidando gli ordini dei militari, e percorse chilometri per dare la notizia della morte ai genitori.

Era un uomo e un prete coraggioso, spinto da un forte senso di pietà nei confronti dei sofferenti. 

Era anche un uomo molto sensibile, che non si abituò e non si rassegnò al male del tempo storico in cui si era trovato a vivere. 


Catturato dai fascisti il 27 gennaio 1945, don Borea fu condannato a morte e la sera del 9 febbraio fu messo al muro.

Rifiutate la sedia e la benda, il cappellano perdonò i suoi carnefici e disse: “Offro la mia vita per la pace e la grandezza della Patria”, poi, toltosi il mantello, gridò: “Viva Gesù, Viva Maria, Viva l’Italia”.
Colpito da otto pallottole, don Borea fu finito con un colpo alla nuca. 

Dopo l’assassinio i fascisti, insoddisfatti, si portarono alla canonica di Obolo con l’intenzione di eliminare anche don Riccardo Sala che la reggeva al posto di don Borea. Fortunatamente non trovarono né il prete, né i suoi fratelli, Carlo e Camillo, entrambi partigiani.

Don Borea è sepolto nel cimitero di Piacenza.

Pubblicato il 28 maggio 2018

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