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La «lezione» di Manuela Stingo: come leggere la Parola di Dio

 MANUELA STINGO

La Parola di Dio non va né detta né recitata: va proclamata. Gli errori nell’uso della voce al momento delle letture durante le celebrazioni possono causare incomprensioni in chi ascolta o non essere coerenti con l’importanza di ciò che si sta leggendo. Manuela Stingo, catechista nelle parrocchie di San Giovanni e Santa Brigida e attrice teatrale nella compagnia ChezActors, ha spiegato ai presenti, radunati nella chiesa di Santa Teresa a Piacenza nella serata di martedì 23 maggio, alcune regole di impostazione della voce da rispettare durante la messa.
“Il momento dell’ascolto della Parola nella liturgia è il momento in cui avviene il dialogo con il Signore”, ha detto in apertura don Riccardo Lisoni citando le parole pronunciate da mons. Giuseppe Busani in un precedente incontro. La Parola di Dio “suscita una risposta: la prima è la gratitudine per il fatto che Dio ci parla. Non è necessario capire tutto, l’atto più importante è l’ascolto”, ha sottolineato.

La voce è composta da volume, timbro e tono

“Il volume è la forza, la potenza – ha detto Stingo – quando leggiamo in pubblico dobbiamo adeguare il volume alla quantità di persone presenti e alla grandezza del luogo. «Portare in avanti la voce» dà un carisma maggiore. Il timbro è la «pasta», l’identità vocale diversa in ciascuno di noi. È come un’impronta digitale. Al tempo stesso, è la caratteristica meno modificabile, poiché riguarda le casse di risonanza che abbiamo nel corpo. Il timbro può essere nasale, rauco, caldo, eccetera. Il tono è l’intenzione che vogliamo dare a ciò che stiamo leggendo, il sottotesto. Serve alla lettura per non essere monotona e comprende ritmo, velocità, colore”.
La catechista ha poi elencato una serie di aspetti da evitare: “Mai leggere con voce debole e tremolante, mai mangiarsi le parole, bensì pronunciare tutte le sillabe, specie quelle finali. Non avere fretta, dunque, non leggere tutto d’un fiato, rispettare la punteggiatura. Non mantenere lo stesso tono, non leggere le parole a una a una: scandire bene le parole sensoriali, enfatizzarle, così da evocare emozioni nelle persone. Ridurre al minimo le inflessioni dialettali, evitare cantilene. Occorre esercitarsi a casa a scandire tutte le sillabe di quello che leggiamo. Non incespicare sulle parole difficili. E poi, le pause sono momenti di silenzio che suonano: quelle logiche, date dalla punteggiatura, quelle d’aria, che prendiamo quando respiriamo, e quelle psicologico-interpretative, che decidiamo di mettere nel testo per trasmettere un messaggio. È durante le pause che l’ascoltatore fa arrivare al cervello quello che diciamo. Ricordiamoci che in chi ascolta il processo di comprensione è più lento”.

La proclamazione delle Letture

“La Parola di Dio è viva, energica: il Signore può convertire qualcuno quando parla. Dunque, non dobbiamo né dire né recitare – ha spiegato Stingo – bensì proclamare, ossia dichiarare ufficialmente qualcosa ad altre persone. Quando parla Gesù bisogna sostenere con l’intonazione quello che si sta leggendo. Non è né un racconto né un testo teatrale, c’è bisogno di una attenta preparazione tecnica e spirituale”. Come si fa? “Innanzitutto, laddove il compito viene assegnato con preavviso, bisogna prepararsi le letture. Tutte, non solo la propria, in modo da cogliere il senso di tutta la Parola che viene proclamata quel giorno, entrando in intimità con essa. Un salmo gioioso richiede una lettura diversa da un libro storico: ogni tipologia va affrontata in modo diverso. Le letture che prevedono elenchi lunghi rischiano di cadere nella monotonia: un trucco per evitarlo è movimentare la lettura con pause e accelerazioni”. Il tono da assumere in chiesa è una via di mezzo tra il solenne e l’armonico. “La voce di petto – ha sottolineato Stingo – ci aiuta, perché dà solennità, ma può sembrare grave e dare un senso di pesantezza. Bisogna, dunque, trovare un modo per «alleggerirla» con l’uso degli armonici, ossia sollevando il palato molle dietro l’ugola. È la disposizione che abbiamo quando sorridiamo. La solennità non è tristezza: la proclamazione è un annuncio di gioia, amore, salvezza. Infine, è bene individuare la frase più importante ed enfatizzarla”.

Il comportamento e il linguaggio del corpo

L’attenzione comincia nel momento in cui ci si alza per dirigersi all’ambone. “È un atto liturgico – ha detto Manuela Stingo – va fatto piano e con solennità. Più è lento, più si dà importanza a quell’atto. Non bisogna alzarsi dal proprio posto prima che sia finito il momento precedente della messa. Una volta giunti al leggìo, la prima cosa da fare è regolare il microfono in altezza e distanza. Le braccia non vanno tenute lungo il corpo ma sul lezionario o sul leggìo. Vietato mettere le mani in tasca. Prima di leggere, verificare che il lezionario, o il messale, sia aperto sulla pagina giusta: mai dare per scontato che qualcuno l’abbia preparato per noi. Entrando nella fase della lettura vera e propria, la prima cosa da fare, molto importante, è l’annuncio (ad esempio, “Dagli Atti degli apostoli”), che va dato tenendo il contatto visivo con l’assemblea. Non si dice «Prima lettura». Gli occhi vanno alzati anche alla fine, si riprende il contatto visivo con l’assemblea mentre si pronuncia «Parola di Dio»”. Mai dire “È Parola di Dio”, ha avvertito don Lisoni, che ha aggiunto un passaggio sulla Preghiera dei fedeli. “Ciò che dovrebbe venire dal cuore in realtà è prefissato con frasi formali e format pesanti e aridi. Il lettore, però, deve fare sua la preghiera, caricarla di calore ed emotività. L’altare va abbandonato solo al termine della fase della liturgia, dopo la parola «Amen»”.

Francesco Petronzio

Nella foto, Manuela Stingo in Santa Teresa.

Pubblicato il 24 maggio 2023

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